hihihi
la sua storia (tratta da un articolo di sistema musica)
Dmitrij Shostakovich non amava il cinema, anzi lo disprezzava, stando almeno a quanto ebbe occasione di raccontare a Solomon Volkov, che nel 1979 ne raccolse le memorie. Un disprezzo, o meglio un fastidio, che serpeggia nelle pagine del libro, ogni qual volta deve citare questo o quel film a cui ha collaborato. E dire che la sua produzione musicale per il cinematografo ammonta a 36 partiture, fra il 1928 e il 1970, cioè da quando compose il commento musicale per il film muto La nuova Babilonia, diretto da Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg, fino alla colonna sonora del Re Lear, che Kozincev trasse dalla tragedia di Shakespeare. Un percorso che attraversa quarant’anni di storia del cinema sovietico – e dell’Unione Sovietica in quanto tale –, e quali anni! Dal periodo postrivoluzionario, con le ricerche e le sperimentazioni dell’Avanguardia, agli anni di Stalin e del Realismo socialista; dalla Seconda Guerra Mondiale, con l’arte al servizio della propaganda bellica, al periodo buio della Guerra Fredda; dal “disgelo” e dalla destalinizzazione alle soglie degli anni Settanta, con i fermenti di novità che li caratterizzarono.
Un percorso non breve e non facile, che Shostakovich seguì con alterna fortuna, e che proprio la sua attività di compositore cinematografico (stando alle sue affermazioni) gli consentì di affrontare, superandone gli ostacoli maggiori, quelli di natura ideologica e politica. «Ho la ferma convinzione che il cinematografo – disse – sia un’industria e non un’arte, ma comunque la parte che ho avuto in quest’industria di primaria importanza nazionale mi ha salvato, e più d’una volta» (alludendo in particolare a Tichon Chrennikov, il capo dell’Unione dei compositori dell’URSS, suo nemico personale, che voleva estrometterlo anche dall’industria cinematografica, se non fosse arrivata, inaspettata, una provvidenziale telefonata dello stesso Stalin, che apprezzava invece il suo lavoro di compositore di colonne sonore).
Questo disamore per il cinema probabilmente gli venne dai suoi primi impegni professionali di pianista diciassettenne, allievo del Conservatorio di Pietrogrado, costretto a guadagnarsi il pane suonando in una sala cinematografica come “accompagnatore” di film muti. Lo racconta così: «Da ragazzo suonavo il pianoforte al Teatro della Pellicola, quello che oggi si chiama Barricata. Non c’è leningradese che non lo conosca. Il ricordo che ne conservo non è dei più piacevoli. Avevo diciassette anni, e il mio lavoro consisteva nello scegliere pezzi musicali atti ad accompagnare le storie che si svolgevano sullo schermo». E continua: «Il mio primo mese di lavoro al cinematografo fu un lungo tormento. Nient’affatto divertente». Insomma, un rapporto con il cinema estremamente conflittuale, che solo parecchi anni dopo, con l’incontro a Leningrado con i registi Kozincev e Trauberg, allora molto noti e attivi nei gruppi dell’avanguardia teatrale e cinematografica, si farà a poco a poco più interessante e anche divertente: occasione a volte di qualche sperimentazione formale, di qualche invenzione ritmica e melodica. Sebbene, a distanza di molti anni, verso la fine della sua vita, Shostakovich ricordi quelle esperienze artistiche, al fianco di autori geniali come Kozincev e Trauberg o di altri registi di notevole valore come Jutkevic, i “fratelli” Vasil’ev, Ermler, Gerasimov, Dovcenko, Aleksandrov, Ciaureli, Ivens, Kalatozov, Roschal (coi quali collaborò), con un certo distacco, anzi quasi sottacendone il peso: trascurando di proposito di parlarne diffusamente, o anche solo di accennare al suo impegno, non trascurabile, di compositore cinematografico in rapporto alla sua opera musicale complessiva. Sbrigativamente disse: «Nel complesso i film non erano altro che rotture di scatole, a cominciare dal primo al quale collaborai, La nuova Babilonia. Non sto qui parlando del cosiddetto aspetto artistico: è un’altra faccenda, e lacrimevole, anzi; voglio dire che i miei guai sotto il profilo politico ebbero inizio appunto con La nuova Babilonia». Un modo come un altro per sottovalutare o addirittura disprezzare il suo lavoro cinematografico, quasi fosse rimasto il ragazzino che “accompagnava” al pianoforte i film muti, e non invece il compositore importante e di successo, a cui ricorrevano, per la musica dei loro film, alcuni dei più noti e affermati registi sovietici.
Ed è proprio per il valore di questa musica, per la sua funzione in rapporto alle immagini, alle sequenze, ai ritmi di montaggio, ai contenuti drammatici e politici dei film da lui musicati, che una rassegna cinematografica dedicata a Shostakovich può costituire un momento di grande interesse, anche al di fuori della storia della musica e della storia del cinema, considerate indipendentemente. Anzi, questa rassegna – che comprendente almeno una ventina di film, a partire da La nuova Babilonia per finire col Re Lear –, organizzata dal Museo Nazionale del Cinema nell’ambito di Sintonie 2004, è un’occasione per ripercorrere insieme la vicenda personale del compositore, le sue relazioni col potere politico, le concomitanze e divergenze tra la sua produzione maggiore (sinfonie, opere, musica da camera ecc.) e quella specificamente cinematografica, i rapporti suono-immagine all’interno dei diversi progetti estetici e artistici che i singoli registi, coi quali ha collaborato, elaborarono. Basti pensare, oltre alla magnifica partitura della Nuova Babilonia, che recupera intelligentemente e a volte sarcasticamente brani di musica popolare come la carmagnole, la marseillaise, il can-can dell’Orfeo all’inferno di Offenbach, e oltre all’altrettanto originale partitura del Re Lear, a colonne sonore di grande suggestione, tanto musicale quanto drammaturgica, come quelle della cosiddetta Trilogia di Massimo, diretta dalla coppia Kozincev e Trauberg, composta dai film La giovinezza di Massimo (1935), Il ritorno di Massimo (1937) e Il quartiere di Viborg (1939), o le due parti del Grande cittadino (1938-39) di Ermler, o Michurin (1949) di Dovzenko, o Il canto dei fiumi (1955) di Ivens, o infine l’Amleto (1964) di Kozincev.
Ma non solo. La visione o revisione di un numero considerevole di film sovietici, dalla fine degli anni Venti agli inizi degli anni Settanta, fornisce anche l’opportunità di ripercorrere uno dei periodi più complessi e problematici della storia del cinema mondiale. Un periodo contraddittorio, conflittuale, critico, spesso appiattito nella rappresentazione edulcorata della realtà politica e sociale, che i film della rassegna, colti nella loro funzione anche emblematica, oltreché nel loro intrinseco valore artistico, mettono in chiara luce. Uno sguardo sul passato che può aprirci non poche prospettive anche sul presente.